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Santi del 25 Ottobre

Il mio Santo > I Santi di Ottobre

*Sant'Amone di Toul - Vescovo (25 Ottobre)
IV sec.

Emblema: Pozzo
Sant’Amone è il secondo vescovo di Toul. Nella cronotassi della diocesi è l’immediato successore del protovescovo San Mansueto.
Si presume visse intorno al 400, anche se alcune fonti ci raccontano che governò la diocesi intorno alla metà del IV secolo. C’è un antico inno del breviario della diocesi che lo menziona come il vescovo che combatté vittoriosamente contro l’eresia.
Un’antica tradizione ci ricorda che per il suo amore alla solitudine, visse per qualche periodo in una grotta la cui profondità era di 15 metri.
Alcuni ci raccontano che aveva lasciato la città per sfuggire alla furia devastante di Attila e degli Unni, e una leggenda tradizionale ci racconta che mentre il Santo fuggiva, trovatosi di fronte a una grande roccia, divenuta un ostacolo sulla strada del vescovo, la pietra si aprì e si rinchiuse su di lui per nasconderlo ai suoi inseguitori. Non sappiamo la data della sua morte.
Fu sepolto insieme a San mansueto nella chiesa di San Pietro apostolo, che sarà successivamente intitolata ad protovescovo di Toul. Nel 1107, nella cripta dove era sepolto furono trovati anche i corpi dei Santi Alca, Celsino, Auspicio e Orso, tutti vescovi di Toul.
L’attributo iconografico di Sant’Amone è un pozzo.
Esiste una sua raffigurazione nella parte absidale della Cattedrale di Toul.  Un eremo nel villaggio di Salxerotte porta il suo nome.
In passato la sua festa si celebrava il 23 ottobre. Oggi a Nancy e a Toul si celebra il 25 ottobre.

(Autore: Mauro Bonato – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Amone di Toul, pregate per noi.

*Sant'Angilramno (o Angilramo) di Metz - Vescovo (25 ottobre)
(?) Sens - † 26 ottobre 761

Sant'Angilramno è il trentottesimo vescovo della diocesi di Metz. Succede a San Crodegango e dopo un periodo di sede vacante durato ben due anni (766-768).
La sua posizione è stata assegnata dal più antico catalogo dei vescovi della città, compilato intorno al 776 e giunto ai nostri giorni nel cosiddetto "Sacramentario" di Drogone, vescovo di Metz tra gli anni 823 e 855.
San Angilramno, nato a Sens, entrò da giovane quale un monaco nell'abbazia di sant'Avoldo.
Successivamente fu nominato abate dell’Abbazia di Saint Pierre de Senones. Era il settimo al guidare i monaci di quella modesta abbazia benedettina che si trovava in Lorena.
Il 25 settembre 768, San Angilramno è stato nominato vescovo di Metz, grazie all’intervento di Pipino il Breve.
Egli ricevette dal pontefice il titolo di arcivescovo.
Fu amico di Carlomagno che accompagnò in quasi tutti i suoi viaggi, che lo nominò, nel 781 cappellano di corte.
Durante il suo governo della diocesi, creò nella cattedrale di Metz, un importante scriptorium.
Verso il 783 chiese a Paolo Diacono di redigere le "Gesta episcoporum Mettensium" per scrivere la storia di tutti i vescovi di Metz e dell’intera dinastia carolingia
Secondo una falsa tradizione, verso il 785 avrebbe inviato al papa i Capitula Angilramni, una raccolta di diritto canonico che riguardava i vescovi.
Si pensava che avesse scritto tale opera per difendersi da coloro che lo accusavano di violare il diritto canonico risiedendo presso Carlomagno e non nella sua diocesi.
Ma oggi i Capitula sono oggi considerati un falso del IX secolo.
È sicuro che redasse una delle prime revisioni della Bibbia.
San Angilramno morì, il 26 ottobre 791, in Ungheria mentre accompagnava Carlomagno in una delle sue campagne contro gli Avari.
Riportato in patria, il suo corpo venne sepolto nell'abbazia di Sant'Avoldo. È venerato come Santo.
La sua memoria liturgica e festa è stata fissata per il giorno 25 ottobre.

(Autore: Mauro Bonato – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Angilramno di Metz, pregate per noi.

*Beato Bernardino Otranto - Religioso (25 ottobre)
Cropalati, Cosenza, 1430 - Napoli, 25 ottobre 1520

Frate dell’Ordine dei Minimi di San Francesco da Paola.
Nato a Cropalati, paese sul versante jonico della presila greca. Nonostante la ferma contrarietà della sua famiglia e l'intervento dei suoi fratelli, che ripetutamente lo ricondussero alla casa paterna,
Bernardino rispose all'invito di Dio, manifestato attraverso la mediazione di San Francesco da Paola e rivestì l'umile saio dei penitenti. San Francesco lo volle come suo confessore personale e lo condusse con sé alla corte di Francia.
Bernardino fu superiore e fondatore di diversi conventi anche in Francia. Fu lui a fondare nel 1510 il convento di Cosenza e fu Provinciale dell’Ordine in Calabria. Prima di morire, il 2 aprile 1507, San Francesco elesse Bernardino Vicario generale dell'Ordine e quindi suo successore nel governo dello stesso fino alla convocazione del Capitolo generale.
Bernardino, pur dichiarandosi indegno di tale carica e sostenendo che nell'Ordine vi erano persone più sapienti di lui, dovette chinarsi di fronte alla volontà di San Francesco che, richiamandosi all'apostolo Paolo, disse: "la sapienza di questo mondo è stoltezza agli occhi di Dio".
Bernardino ebbe il dono della profezia; predisse il giorno della sua morte, avvenuta nel convento di San Luigi in Napoli dopo settanta anni di vita religiosa, all'età di circa novant'anni, il 25 ottobre 1520.
É riconosciuto Beato dalla devozione e tradizione popolare che lo venera per le eccezionali virtù religiose, pur se il titolo non gli è stato riconosciuto ufficialmente dalla Chiesa.
Etimologia: Bernardino = ardito come un orso, dal tedesco
Bernardino apparteneva ad una ricca famiglia di Cropalati, paese sul versante jonico della presila greca. Pur avendo fin da fanciullo avvertito i germi della vocazione religiosa, la grande disponibilità di mezzi personali lo avevano spinto nella giovinezza ad una vita spensierata e licenziosa.
La svolta nella sua vita avviene all’età di vent’anni, quando trovandosi nei pressi del convento di Spezzano della Sila incontra San Francesco da Paola. Francesco lo invita ad entrare e lo rinchiude a chiave in una cella.  
Quando Francesco riapre la porta trova Bernardino piangente e pentito dei suoi errori che gli chiede di accoglierlo nella sua comunità. Francesco acconsente, ma i fratelli di Bernardino, appresa
la notizia che il giovane ha vestito il saio, si recano al convento di Paola, dove era stato nel frattempo inviato, e lo convincono a ritornare a casa.  
Meno di un mese dopo, Bernardino si ripresenta a Francesco supplicandolo di riprenderlo.  Francesco, intravedendo nel giovane belle qualità e virtù umane non comuni, senza dare risposta alla sua richiesta, gli chiede di recarsi alla corte di Napoli per consegnare al re una sua lettera importante.  
Al suo ritorno trova di nuovo i fratelli ad attenderlo per riportarlo a casa. Francesco nel salutarlo lo rassicura dicendogli che presto sarebbe ritornato per sempre.  Così avviene e Bernardino dopo pochi giorni ritorna in convento definitivamente. San Francesco volle Bernardino sacerdote ed ebbe in lui una così grande fiducia da sceglierlo come suo confessore personale.
Terminati gli studi, Bernardino raggiunge Francesco alla corte di Francia, che all’epoca risiedeva a Tours, dove il Santo Taumaturgo si era recato fin dal 1483 in obbedienza a Papa Sisto IV e su pressione di re Luigi XI gravemente malato.
In Francia Bernardino contribuisce al graduale passaggio della comunità dall’eremitismo al cenobitismo fino alla istituzione dell’Ordine dei Minimi (in ossequio all'umiltà di Francesco e per rispetto del suo modo di definirsi frate Francesco di Paola minimo delli minimi servi di Giesù Christo Benedetto).
Bernardino assolse diversi incarichi di fiducia per conto di Francesco; fu fondatore e superiore di diversi conventi e Provinciale della Calabria dell’Ordine dei Minimi. Prima di morire il 2 aprile 1507, venerdì santo, Francesco chiama a se tutta la comunità dei frati, li ammonisce a perseguire nel rispetto della santa Regola e dell'amore di Dio e del prossimo e affida a padre Bernardino il governo dell'Ordine fino al successivo Capitolo.
Bernardino pur dichiarandosi indegno di tale carica, sostenendo che vi erano persone più sapienti di lui, dovette chinarsi di fronte alla volontà del Santo, che richiamandosi all'apostolo Paolo, disse: "la sapienza di questo mondo è stoltezza agli occhi di Dio".
Bernardino ebbe il dono della profezia; predisse il giorno della sua morte avvenuta il 25 ottobre 1520, nel convento di San Luigi in Napoli.
È riconosciuto Beato dalla devozione e tradizione popolare che lo venera per le eccezionali virtù religiose, pur se il titolo non gli è stato riconosciuto ufficialmente dalla Chiesa.

(Autore: Lino De Simone – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Bernardino Otranto, pregate per noi.

*San Bernardo Calvò - Vescovo di Vich (25 ottobre)
Martirologio Romano: A Vic nella Catalogna in Spagna, San Bernardo Calbó, vescovo, che, lasciato il suo ufficio di giudice, divenne dapprima abate tra i Cistercensi e, eletto poi alla sede di Vic, promosse con impegno la retta dottrina.

Nato da nobili parenti in Catalogna nella diocesi di Tarragona, Bernardo entrò nel 1214 nel monastero cistercense detto delle Sante Croci (Santas Creus), divenendone poi abate e rendendosi famoso per le sue alte qualità morali, che gli meritarono incarichi di fiducia da parte di Gregorio IX.
Eletto nel 1233 vescovo di Vich, accettò di essere consacrato solo dopo una lunga resistenza e attese con impegno ai doveri della sua nuova carica.

Nominato da Gregorio IX inquisitore per l'Aragona e i territori vicini, convertì molti eretici e infedeli; inoltre, alla testa di un esercito fece importanti conquiste nei territori spagnoli ancora sotto la dominazione musulmana, restaurandovi la religione cattolica.
Virtù proprie di Bernardo furono l'amore alla povertà, alla castità e alla preghiera, lo zelo ardente per la conversione degli eretici e degli infedeli, un grande spirito di mortificazione e di penitenza corporale e, infine, la generosità verso i bisognosi.
Morto il 26 ottobre 1243 e sepolto nella cattedrale di San Pietro, Bernardo fu subito oggetto di culto da parte del popolo che, implorandone l'intercessione, ottenne grazie e miracoli.
Nel 1710 Clemente XI confermò un decreto della Sacra Congregazione dei Riti del 1702, che approvava per i Cistercensi l'Ufficio di san Bernardo da celebrarsi il 24 ottobre.
La diocesi di Vich, invece, celebra la festa del suo santo vescovo il 26 dello stesso mese.
(Autore: Antonio Rimoldi - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Bernardo Calvò, pregate per noi.

*Beato Bernardo di San Giuseppe - Mercedario (25 ottobre)
+ 23 ottobre 1613
Nato a Parigi nel 1576, il Beato Bernardo di San Giuseppe, all'età di 29 anni si trasferì in Spagna ed entrò nel convento mercedario di San Lazzaro in Siviglia, come frate laico converso.
Fu insigne per l'amore al Crocifisso, per la grande pazienza, la purezza angelica, l'amore verso gli altri ed il disprezzo di se stesso e delle cose terrene.
Stracolmo di meriti il Signore lo favorì di una infinità di grazie e frequenti estasi, finché santamente morì il 23 ottobre 1613 all'età di 37 anni, 8 dei quali passati in religione.
L'Ordine lo festeggia il 25 ottobre.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Bernardo di San Giuseppe, pregate per noi.

*Santa Canna - Moglie di San Sadwrn (25 ottobre)
VI secolo
Agli inizi del sec. VI, dalla Bretagna, Canna passò nel Galles, insieme col marito San Saturnino (detto poi nel Galles “Sadwrn”), col figlio, San Crallo, e con lo zio, San Cadfan.
Il motivo di questo trasferimento va forse cercato nelle invasioni dei Franchi, come pensano i Bollandisti, oppure in quegli intensi scambi che andavano sviluppandosi tra l’Inghilterra ed il continente.
Morto San Saturnino, Canna passò a seconde nozze con un nobile del luogo, Gallgu Reiddog o Alltu Redegog, da cui ebbe i figli San Tegfan e Sant’Elian (Ilario), soprannominato poi “Geimiad”, “visitatore di luoghi santi, pellegrino”.
Ognuno di questi santi ha lasciato il proprio nome legato a varie località, specialmente Sant’Elian che gode di un culto particolarmente vivo nell’isola di Mona.
La loro memoria liturgica ricorre il 25 ottobre.
(Autore: Giovanni Battista Proja – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Canna, pregate per noi.

*Beato Carlo Gnocchi - Sacerdote (25 ottobre)
San Colombano al Lambro, Milano, 25 ottobre 1902 - Milano, 28 febbraio 1956
Nacque da famiglia povera nelle vicinanze di Lodi nel 1902. Entrato in seminario, venne ordinato prete nel 1925.
Dopo alcuni anni trascorsi in oratorio, venne trasferito all’istituto Gonzaga dove poté studiare e scrivere alcuni saggi di pedagogia.
Allo scoppio della guerra, decide di partire cappellano militare per il fronte greco-albanese, per condividere la sorte dei suoi giovani.
Ritorna nel 1942 ma, nello stesso anno, parte per la Russia con gli alpini della Tridentina.
La drammatica esperienza della guerra e della ritirata dei soldati italiani lo getta in una crisi profonda.
Ma come ricordava un suo commilitone, il vescovo di Novara Aldo del Monte, don Carlo non si attarda ad auto-compiangersi.
Si prodiga per consolare i soldati e, a quanti piangono per i figli piccoli destinati a rimanere orfani, promette di occuparsi di loro.
Al ritorno in Italia, comincia a raccogliere gli orfani di guerra e i mutilatini. Li ospita in una casa di Arosio, poi gli viene concessa una casa più grande a Cassano Magnago.
Da allora i collegi si moltiplicano in tutta Italia. L’ultimo progetto è la costruzione di un centro di riabilitazione nei pressi dello stadio di San Siro a Milano.
Affetto da un male incurabile, don Carlo muore nel 1956. Prima, tuttavia, la carità lo induce a un ultimo gesto eroico.
All’epoca in Italia i trapianti erano proibiti. Il sacerdote convinse un dottore a trapiantare le sue cornee a due ragazzi non vedenti. È stato beatificato nel 2009.
Un’altra grande figura della santità e operosità milanese; fu chiamato l’apostolo dei mutilatini. Nacque a San Colombano al Lambro (MI) il 25 ottobre 1902 dal padre Enrico marmista e da Clementina Pasta sarta.
A 2 anni divenne orfano di padre e la famiglia si trasferì prima a Milano e poi a Besana di Brianza; studiò nel seminario milanese e venne ordinato sacerdote il 6 giugno 1925; le sue prime esperienze d’apostolato le fece nelle parrocchie di Cernusco sul Naviglio e in quella di S. Pietro in Sala a Milano.
Nel contempo divenne cappellano all’Istituto Gonzaga, dove ebbe l’opportunità di conoscere meglio l’uomo inquadrato nella società, i giovani, ma anche le loro famiglie e l’ambiente, affinando così la sua passione e la sua sensibilità come educatore.
Ebbe anche dal cardinale arcivescovo beato Schuster, l’incarico di assistente spirituale del GUF (Gruppo Universitari Fascisti) di Milano.
Il 22 settembre 1936, fu nominato direttore spirituale dell’Istituto Gonzaga di cui era stato cappellano, diretto dai Fratelli delle Scuole Cristiane e inoltre insegnante di religione all’Istituto Commerciale Schiapparelli di Milano.
Il 10 giugno 1940, l’Italia entrò in guerra e don Carlo Gnocchi si arruolò volontariamente come cappellano militare del Battaglione degli Alpini ‘Val Tagliamento’, che partecipò alla campagna di Grecia.
Di ritorno dalla Grecia, volle pure partecipare da ‘sacerdote’ alla campagna di Russia, come
cappellano degli Alpini della Divisione Tridentina; la disastrosa ritirata del gennaio 1943, che vide la morte di numerosi soldati, lo colpì profondamente, provocandogli una forte crisi spirituale sulla bontà di Dio, crisi che superò con la sua immensa fede e facendogli intuire il significato e il valore della sofferenza degli innocenti.
Maturò il lui il desiderio di provvedere all’assistenza degli orfani dei suoi alpini, dei mutilatini di guerra, vittime dei bombardamenti e degli ordigni bellici scoppiati fra le loro mani e degli handicappati di ogni genere.
Decorato con medaglia d’argento al valor militare, negli anni 1944-45 partecipò alla Resistenza subendo anche il carcere per alcuni giorni e liberato per l’intervento del cardinale Schuster.
Nel 1945 lasciò l’incarico di direttore spirituale all’Istituto Gonzaga, prendendo quello di assistente ecclesiastico degli studenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, restandoci tre anni, intanto nel 1947 aveva fondato l’Istituzione ‘Pro infantia mutilata’ riconosciuta con D.P.R. del 26 marzo 1949.
Nel 1953 l’istituzione cambiò denominazione in ‘Fondazione Pro Juventute’ riconosciuta come Ente Morale.
Don Carlo Gnocchi fu il “don Bosco” di Milano, la sua vita ebbe due fasi, divise dalla Seconda Guerra Mondiale, la prima lo vide come educatore, intento alla riflessione e alla ricerca spirituale e culturale, la seconda come uomo d’azione, rapido, instancabile, ansioso di creare e realizzare le sue idee e opere, prima che il tempo si concludesse per lui.
Si fece propagandista itinerante in Italia e all’Estero per le sue istituzioni, che ormai si erano ramificate, aumentando con ritmo veloce, in Lombardia e in altre regioni italiane.
Come atto supremo dell’amore che portava verso i suoi mutilatini e disabili, volle che alla sua morte, avvenuta il 28 febbraio 1956, le sue cornee venissero espiantate per donarle a due ragazzi ciechi,
operazione felicemente riuscita ad opera del professor Cesare Galeazzi; si era agli albori della cultura dei trapianti d’organi.
Fu scrittore fecondo di spiritualità, educazione, pedagogia. La sua salma, il 3 aprile 1960 fu traslata dal Cimitero Monumentale alla Cappella del Centro Pilota di Milano.
Sono in corso i processi canonici per la sua beatificazione, iniziati il 3 dicembre 1986, con la formale richiesta alla Santa Sede da parte dell’arcivescovo di Milano, card. Martini.
Il 20 dicembre 2002 il Papa lo ha dichiarato venerabile.
Il 25 ottobre 2009 è stato beatificato e la sua festa liturgica è stata fissata al 25 ottobre.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Carlo Gnocchi, pregate per noi.

*Beata Caterina di Bosnia - Regina, Terziaria Francescana (25 ottobre)
Erzegovina, 1424 – Roma, 25 ottobre 1478

Le notizie sulla sua vita sono alquanto scarne, ma sufficienti a farci comprendere la grandezza della sua figura, prevalentemente cattolica; vissuta in uno Stato balcano minacciato continuamente dall’espansionismo musulmano.
Nata in Erzegovina nel 1424, sposò il penultimo re di Bosnia Stefano Thomas, adoperandosi per la diffusione della fede nel suo regno; chiamò i Francescani ad Jaice la capitale, per contrastare e
convertire i molti eretici e scismatici bogomili, che avevano fatto della Bosnia la roccaforte della loro eresia; la quale contrapponeva il mondo dello spirito a quello della materia, considerato espressione della forza del male; negava la Ss. Trinità, la natura umana di Cristo, ridotta a sola apparenza, l’Antico Testamento, non riconosceva i riti liturgici, la gerarchia ecclesiastica, il battesimo e il matrimonio.
Nel 1463 i Turchi capeggiati dal sultano Maometto II, occuparono la Bosnia e fra l’altro catturarono i figli di Caterina, costringendoli a farsi musulmani; la regina poi rimasta vedova nello stesso anno, si recò in esilio a Roma, dove fu accolta con onore dal papa Pio II, diventando Terziaria Francescana e vivendo santamente, godendo di stima e considerazione dai successivi pontefici Paolo II e Sisto IV.
Morì a Roma il 25 ottobre 1478 e sepolta con solenni funerali nella chiesa dell’Aracoeli; nel suo testamento dispose che lasciava alla Santa Sede il suo regno, la spada e gli speroni (evidentemente i simboli regali), con la clausola che se il figlio Sigismondo, prigioniero dei turchi, una volta liberato fosse tornato al cristianesimo, egli sarebbe dovuto diventare il re di Bosnia.
L’Ordine Francescano celebra Caterina come Beata, con la ricorrenza al 25 ottobre, giorno della sua morte.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Caterina di Bosnia, pregate per noi.

*San Cleto - Diacono (25 ottobre)
Le notizie non sono tante e quelle che si sanno provengono dagli ‘Atti’ di San Pietro di Trevi, dove si cita che San Pietro, eremita itinerante e predicatore del secolo XI, fu per due anni discepolo del diacono Cleto a Tivoli; poi quando Cleto ritenne che Pietro fosse ben preparato, lo presentò al vescovo di Tivoli Gregorio, che gli diede la tonsura ecclesiastica e una croce di ferro, incaricandolo di predicare nelle citta dine della regione.

Essendo stato Gregorio vescovo di Tivoli dal 1049 al 1054, al tempo di Papa Leone IX, si può datare l’esistenza di Cleto nella metà dell’XI secolo.
Altro non si sa, notizie datate 1700 riportano che nella piazza vicino al Duomo di Tivoli, esisteva un ospedale (ospizio dei pellegrini) dedicato a San Cleto; l’episcopio era denominato “Casa di San Cleto”; le sue reliquie sono ancora conservate nel Duomo sotto l’altare di San Mario e il suo culto è limitato alla diocesi di Tivoli, dove è venerato il 25 ottobre, in tale data nei tempi antichi era usanza distribuire pane fresco e fave cotte.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Cleto, pregate per noi.

*San Crisanto - Martire di Roma (25 ottobre)

Roma, † 283 ca.
I due Santi patroni della città di Reggio Emilia vissero e morirono martiri nel III secolo, probabilmente nel 283.
Crisanto figlio di un certo Polemio, di origine alessandrina, venne a Roma per studiare filosofia al tempo dell'imperatore Numeriano (283-284), qui ebbe l'occasione di conoscere il presbitero Carpoforo e si fece battezzare.
Il padre Polemio cercò in tutti i modi di farlo tornare al culto degli dei, si servì anche di alcune donne e specialmente della bella vestale Daria.
Ma Crisanto riuscì a convertire Daria e di comune accordo, simulando il matrimonio, poterono essere lasciati liberi di predicare, convertendo molti altri romani al Cristianesimo.
La cosa non passò inosservata, scoperti furono infine accusati al prefetto Celerino, il quale li affidò al tribuno Claudio, che però si convertì insieme alla moglie Ilaria, i due figli Giasone e Mauro, alcuni parenti ed amici e i settanta soldati della guarnigione, che aveva in custodia gli arrestati.
Scoperti, vennero tutti condannati a morte dallo stesso imperatore Numeriano. Crisanto e Daria furono condotti sulla Via Salaria, gettati in una fossa e sepolti vivi. (Avvenire)
Martirologio Romano: A Roma nel cimitero di Trasóne sulla via Salaria nuova, Santi Crisanto e Daria, martiri, lodati dal Papa San Damaso.
Santi Crisanto e Daria
I due Santi patroni della città di Reggio Emilia vissero e morirono nel III secolo, l’anno del martiri
o si suppone fosse il 283; sono ricordati singolarmente o in coppia in svariati giorni dell’anno secondo i vari Martirologi e Sinassari, mentre il famoso Calendario Marmoreo di Napoli e per ultimo il Martirologio Romano, li ricordano il 25 ottobre.
I due martiri sono raffigurati in varie opere d’arte, reliquiari, pannelli, affreschi, mosaici, per lo più di origine italiana, situati in alcune città d’Italia, di Germania, Austria e Francia; questo testimonia
la diffusione del loro antichissimo culto in tutta la Chiesa.
La loro vicenda, narrata in modo epico e fantasioso dalla ‘passio’, risente senz’altro della lontananza del tempo e della necessità di ricostruire la ‘Vita’ con pochissime notizie certe.
Questa ‘passio’ di cui si hanno versioni in latino e in greco, era già esistente nel secolo VI poiché era nota a San Gregorio di Tours (538-594), vescovo francese e grande storico dell’epoca.
Crisanto figlio di un certo Polemio, di origine alessandrina, venne a Roma per studiare filosofia al tempo dell’imperatore Numeriano (283-284), qui ebbe l’occasione di conoscere il presbitero Carpoforo, quindi si istruì nella religione cristiana e poi battezzare.
Il padre Polemio cercò in tutti i modi di farlo tornare al culto degli dei, si servì anche di alcune donne e specialmente della vestale Daria, dotta e bella donna. Ma Crisanto riuscì a convertire Daria e di comune accordo, simulando il matrimonio, poterono essere lasciati liberi di predicare, convertendo molti altri romani al Cristianesimo.
Ma la cosa non passò inosservata, scoperti furono infine accusati al prefetto Celerino, il quale li affidò al tribuno Claudio, che in seguito ad alcuni prodigi operati da Crisanto, si convertì insieme alla moglie Ilaria, i due figli Giasone e Mauro, alcuni parenti ed amici e gli stessi settanta soldati della guarnigione, che aveva in custodia gli arrestati.
A questo punto intervenne direttamente l’imperatore Numeriano che condannò Claudio ad essere gettato in mare con una grossa pietra al collo, mentre i due figli e i settanta soldati vennero decapitati e poi sepolti sulla Via Salaria; dopo qualche giorno anche Ilaria mentre pregava sulla loro tomba morì.
Anche Crisanto e Daria dopo essere stati sottoposti ad estenuanti interrogatori, furono condotti sulla Via Salaria, gettati in una fossa e sepolti vivi sotto una gran quantità di terra e sassi.
Dagli ‘Itinerari’ del secolo VII, si sa che i due martiri erano sepolti in una chiesetta del cimitero di Trasone sulla medesima Via Salaria nuova. Una notizia certa riferisce che per la festa dei Santi martiri, affluivano molti fedeli ai loro sepolcri e che il Papa Pelagio II nel 590, dette alcune reliquie ad un diacono della Gallia.
Ma la storia delle reliquie è intessuta di notizie contraddittorie e leggendarie, la tradizione vuole infatti che furono operate tre traslazioni, una da Papa Paolo I (757-767) che dalla Via Salaria le avrebbe portate nella chiesa di San Silvestro a Roma; la seconda da Papa Pasquale I (817-824) che invece le avrebbe trasferite dalla Via Salaria alla Chiesa di Santa Prassede e l’ultima da Papa Stefano V (885-891), che le avrebbe portate al Laterano.
Da questa ultima chiesa poi nell’884 sarebbero state portate nel monastero di Münstereiffel in Germania, ancora nel 947 le reliquie sarebbero state trasferite a Reggio Emilia, di cui San Crisanto e Santa Daria sono i patroni, ad opera del vescovo Adelardo, il quale le avrebbe avute da Berengario che a sua volta le aveva ricevute nel 915 da Papa Giovanni X, come si vede un bel ginepraio. Altre città rivendicano il possesso di reliquie come Oria (Brindisi), Salisburgo, Vienna, Napoli. Il duomo di Reggio Emilia possiede i due busti reliquiari in argento dei martiri, opera di Bartolomeo Spani.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Crisanto, pregate per noi.

*Santi Crispino e Crispiniano di Soissons - Martiri (25 ottobre)

m. circa 285
Due calzolai intenti al loro lavoro: così sono raffigurati i Santi Crispino e Crispiniano, perché la storia del martirio attribuisce loro questo mestiere.
Da secoli, per questo, i calzolai li venerano come loro patroni in tante parti d’Europa; e con essi i sellai, i guantai e i conciatori. La Chiesa li ricorda come martiri: uccisi per la fede nella Gallia romana, ad Augusta Suessionum, l’attuale Soissons.
Patronato: Calzolai, Lavoratori del cuoio
Etimologia: Crispino = dai capelli ricci, dal latino
Emblema: Palma, Scarpe
Martirologio Romano: A Soissons nella Gallia belgica, ora in Francia, Santi Crispino e Crispiniano, martiri. Nella redazione di Auxerre del Martirologio Geronimiano sono ricordati al 25 ottobre Crispino e Crispiniano come martiri di Soissons; ivi, infatti, nel secolo VI esisteva una basilica a loro dedicata di cui parla a più riprese Gregorio di Tours.
L'itinerario inserito nei Gesta Regum Anglorum di Guglielmo di Malmesbury ricorda gli stessi martiri come sepolti nella basilica dei Santi Giovanni e Paolo sul Celio a Roma; questa notizia, però, dipende probabilmente dalla passio di questi due ultimi santi, in cui, peraltro, l'episodio è considerato un'aggiunta posteriore, sebbene si sia preteso difenderne l'autenticità storica attraverso il presunto ritrovamento dei sepolcri.
Di Crispino e Crispiniano esiste una passio scritta verso la fine del sec. VIII, infarcita dei soliti luoghi comuni.
I due Santi, di origine romana, si sarebbero recati in Gallia insieme con altri al tempo di Diocleziano, e stabiliti a Soissons dove avrebbero esercitato il mestiere di calzolai a favore dei poveri, non trascurando di propagandare la fede cristiana.
Saputo ciò, l'imperatore Massimiano li fece arrestare per mezzo di Riziovaro che con lusinghe, minacce e tormenti, cercò di farli apostatare; a nulla valsero i tentativi, anzi fu Riziovaro che, in un accesso d'ira dispettosa, si gettò nel fuoco incontrandovi la morte.
Per vendicare il suo ministro, Massimiano condannò i due Santi alla pena capitale. I loro corpi, dopo essere stati nascosti per un certo tempo da due vecchi, finita la persecuzione, furono posti in due
sepolcri sui quali venne edificata una basilica.
Nonostante le contraddizioni e la poca attendibilità delle fonti si può ritenere che Crispino e Crispiniano siano due martiri romani periti durante la persecuzione militare della fine del secolo III a Soissons, dove furono creduti Santi locali e donde alcune loro reliquie furono portate a Roma. Per l'allusione della passio al mestiere da loro esercitato, i due martiri sono invocati come patroni dei calzolai.
(Autore: Agostino Amore – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Crispino e Crispiniano di Soissons, pregate per noi.

*Santa Daria - Martire (25 ottobre)

Roma, † 283 ca.
I due santi patroni della città di Reggio Emilia vissero e morirono martiri nel III secolo, probabilmente nel 283. Crisanto figlio di un certo Polemio, di origine alessandrina, venne a Roma per studiare filosofia al tempo dell'imperatore Numeriano (283-284), qui ebbe l'occasione di conoscere il presbitero Carpoforo e si fece battezzare.
Il padre Polemio cercò in tutti i modi di farlo tornare al culto degli dei, si servì anche di alcune donne e specialmente della bella vestale Daria. Ma Crisanto riuscì a convertire Daria e di comune accordo, simulando il matrimonio, poterono essere lasciati liberi di predicare, convertendo molti altri romani al Cristianesimo.
La cosa non passò inosservata, scoperti furono infine accusati al prefetto Celerino, il quale li affidò al tribuno Claudio, che però si convertì insieme alla moglie Ilaria, i due figli Giasone e Mauro, alcuni parenti ed amici e i settanta soldati della guarnigione, che aveva in custodia gli arrestati. Scoperti, vennero tutti condannati a morte dallo stesso imperatore Numeriano. Crisanto e Daria furono condotti sulla Via Salaria, gettati in una fossa e sepolti vivi. (Avvenire)
Martirologio Romano: A Roma nel cimitero di Trasóne sulla via Salaria nuova, santi Crisanto e Daria, martiri, lodati dal Papa San Damaso.
Santi Crisanto e Daria
I due santi patroni della città di Reggio Emilia vissero e morirono nel III secolo, l’anno del martirio si suppone fosse il 283; sono ricordati singolarmente o in coppia in svariati giorni dell’anno secondo i vari Martirologi e Sinassari, mentre il famoso Calendario Marmoreo di Napoli e per ultimo il Martirologio Romano, li ricordano il 25 ottobre.
I due martiri sono raffigurati in varie opere d’arte, reliquiari, pannelli, affreschi, mosaici, per lo più di origine italiana, situati in alcune città d’Italia, di Germania, Austria e Francia; questo testimonia
la diffusione del loro antichissimo culto in tutta la Chiesa.
La loro vicenda, narrata in modo epico e fantasioso dalla ‘passio’, risente senz’altro della lontananza del tempo e della necessità di ricostruire la ‘Vita’ con pochissime notizie certe.
Questa ‘passio’ di cui si hanno versioni in latino e in greco, era già esistente nel secolo VI poiché era nota a San Gregorio di Tours (538-594), vescovo francese e grande storico dell’epoca.
Crisanto figlio di un certo Polemio, di origine alessandrina, venne a Roma per studiare filosofia al tempo dell’imperatore Numeriano (283-284), qui ebbe l’occasione di conoscere il presbitero Carpoforo, quindi si istruì nella religione cristiana e poi battezzare.
Il padre Polemio cercò in tutti i modi di farlo tornare al culto degli dei, si servì anche di alcune donne e specialmente della vestale Daria, dotta e bella donna. Ma Crisanto riuscì a convertire Daria e di comune accordo, simulando il matrimonio, poterono essere lasciati liberi di predicare, convertendo molti altri romani al Cristianesimo.
Ma la cosa non passò inosservata, scoperti furono infine accusati al prefetto Celerino, il quale li affidò al tribuno Claudio, che in seguito ad alcuni prodigi operati da Crisanto, si convertì insieme alla moglie Ilaria, i due figli Giasone e Mauro, alcuni parenti ed amici e gli stessi settanta soldati della guarnigione, che aveva in custodia gli arrestati.
A questo punto intervenne direttamente l’imperatore Numeriano che condannò Claudio ad essere gettato in mare con una grossa pietra al collo, mentre i due figli e i settanta soldati vennero decapitati e poi sepolti sulla Via Salaria; dopo qualche giorno anche Ilaria mentre pregava sulla loro tomba morì.
Anche Crisanto e Daria dopo essere stati sottoposti ad estenuanti interrogatori, furono condotti sulla Via Salaria, gettati in una fossa e sepolti vivi sotto una gran quantità di terra e sassi
Dagli ‘Itinerari’ del secolo VII, si sa che i due martiri erano sepolti in una chiesetta del cimitero di Trasone sulla medesima Via Salaria nuova. Una notizia certa riferisce che per la festa dei santi martiri, affluivano molti fedeli ai loro sepolcri e che il papa Pelagio II nel 590, dette alcune reliquie ad un diacono della Gallia.
Ma la storia delle reliquie è intessuta di notizie contraddittorie e leggendarie, la tradizione vuole infatti che furono operate tre traslazioni, una da papa Paolo I (757-767) che dalla Via Salaria le avrebbe portate nella chiesa di S. Silvestro a Roma; la seconda da papa Pasquale I (817-824) che invece le avrebbe trasferite dalla Via Salaria alla Chiesa di Santa Prassede e l’ultima da papa Stefano V (885-891), che le avrebbe portate al Laterano.
Da questa ultima chiesa poi nell’884 sarebbero state portate nel monastero di Münstereiffel in Germania, ancora nel 947 le reliquie sarebbero state trasferite a Reggio Emilia, di cui San Crisanto e Santa Daria sono i patroni, ad opera del vescovo Adelardo, il quale le avrebbe avute da Berengario che a sua volta le aveva ricevute nel 915 da Papa Giovanni X, come si vede un bel ginepraio. Altre città rivendicano il possesso di reliquie come Oria (Brindisi), Salisburgo, Vienna, Napoli. Il duomo di Reggio Emilia possiede i due busti reliquiari in argento dei martiri, opera di Bartolomeo Spani.

(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Daria, pregate per noi.

*Sante Daria e Derbilia del Connaught - Martiri (25 ottobre)

Etimologia: Daria = che mantiene il bene, dal persiano
Emblema: Palma
Nella vita di San Cormaco abate si legge che, visitando egli il territorio del Connaught, giunse in un luogo chiamato poi Maghgamnach.
Fissare il tempo della sua vita è arduo come fissare quello in cui visse il santo abate: si pensa al secolo VI o al VII.
Non restano tracce di culto. La stessa fonte accenna a Derbilia, figlia di Cormaco (Corbmaco) appartenente, al pari di Daria, alla stirpe reale dei Fiachra, che fiorì dal sec. V in poi, dando molti re al Connaught e molti Santi alla Chiesa. Di lei non si sa altro: forse è la stessa Derbilia di Irras, che accompagnò San Colombano e alla quale i Bollandisti accennano brevemente al 3 agosto. Daria e Derbilia sono ricordate il 25 o il 26 ottobre.

(Autore: Pietro Burchi - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sante Daria e Derbilia del Connaught, pregate per noi.

*Beato Domenico da Siviglia - Mercedario (25 ottobre)

† 1450
Di grandissima umiltà, preghiera, penitenza e pazienza, il Beato Domenico da Siviglia, mercedario redentore si distinse sopratutto per i miracoli.
Inviato per redenzione in Marocco liberò 124 schiavi da una dura schiavitù. Colmo di meriti morì nella pace del Signore nell'anno 1450.
L'Ordine lo festeggia il 25 ottobre.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Domenico da Siviglia, pregate per noi.

*San Folco di Bologna - Eremita (25 ottobre)

XI sec.
San Folco è un eremita nativo di Bologna. Di lui abbiano scarsissime notizie storiche, che sono state riportate nel volume “I santi della chiesa Bolognese” di Enzo Lodi.
Sappiamo che fu nominato vescovo di Ravenna, ma non figura nella cronotassi della diocesi di Ravenna, forse perché non ha potuto prendere possesso della sua sede a causa della lotta per le investiture, sviluppatesi nella seconda metà del XI secolo.
San Folco si ritirò a vita solitaria ed eremitica nella zona bolognese.
Ci sono due testimonianze sul suo antico culto.
Nel 1331, in località di Saletto esisteva un oratorio a lui dedicato, ma dal 1134 la presenza di un battistero testimonia l'esistenza di una pieve, dall'anno Mille, già dedicata a Santa Maria e San
Folco
Nel 1557, nella frazione Saletto di Bentivoglio gli fu dedicata una chiesa, come è attestato dalle visite pastorali del XVI secolo; parrocchia che oggi è intitolata a santa Maria e San Folco.
Il 17 gennaio 1755, alla presenza del cardinale, Vincenzo Malvezzi, arcivescovo di Bologna in visita pastorale a Saletto, acconsentì alla ricognizione delle sue reliquie di San Folco.
Inoltre, nel volume “atti o memorie degli uomini illustri in santità nati o morti in bologna” raccolti da Giambattista Melloni e stampato nel 1773 c’è un lungo elenco di persone che hanno ottenuto miracoli grazie all’intercessione di San Folco: “basti però il sapere che non v’ha giorno, in cui non si provino da qualcheduno gli effetti della beneficenza del Santo; e tuttodì cresce la divozione de’ popoli, essendogli questa anche in paesi lontani: per cui ne risulta onore e gloria a San Folco, sotto il patrocinio del quale vive sicuro e quieto il popolo di Saletto.”
La sua festa è fissata al 25 ottobre.

(Autore: Mauro Bonato - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Folco di Bologna, pregate per noi.

*San Frontone di Perigueux - Vescovo (25 ottobre)

† Périgueux, Francia, 74 circa
Etimologia: Frontone = di grande mente, dal latino
Emblema: Bastone pastorale, Mitra
Martirologio Romano: A Périgueux in Aquitania, ora in Francia, San Frontone, che si ritiene abbia per primo predicato il Vangelo in questa città.
Secondo l’autorevole Martyrologium Romanum, che lo commemora in data odierna, San Frontone (in francese noto come Saint Front) fu il primo evangelizzatore della città francese di Périgueux, della quale fu quindi anche primo vescovo.
Fu inviato direttamente dall’apostolo San Pietro, stabilendo così delle radici assai antiche alla storia della Chiesa della nazione francese.
Essere primo evangelizzatore di una zona è un atto che richiede indubbiamente un coraggio eroico, caratteristica che contraddistinse l’intera vita del Santo, meritandogli infine di essere coronato
con l’aureola della santità dopo la sua morte avvenuta all’incirca nell’anno 74 del I secolo.
Si ignorano purtroppo dettagli più precisi circa la sua esistenza terrena, ma una magnifica cattedrale a lui dedicata richiama ancora oggi la sua memoria.
Nella regione circostante varie località sono poste sotto la sua protezione: Saint-Front-d’Alemps, Saint-Front-la-Rivière e Saint-Front-de-Pradoux, ove una chiesa fu edificata sul luogo in cui il Santo era solito soggiornare.

(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Frontone di Perigueux, pregate per noi.

*San Frutto - Eremita a Segovia (25 ottobre)

642 ca. - 715
Di nobile famiglia spagnola, distribuì i suoi beni ai poveri e si installò su una rupe scoscesa, dove condusse una vita eremitica.
Martirologio Romano: Nel territorio di Segovia in Spagna, san Frutto, che condusse vita eremitica su una rupe scoscesa.
Secondo un'iscrizione del 1076, citata dal Florez, Frutto (Frutos), sarebbe nato verso il 642 e morto a settantatré anni nel 715. Sulla sua vita si hanno scarse e poco sicure notizie. La leggenda lo dice fratello dei santi Valentino e Ingrazia.
Cessò di vivere in una grotta, situata fra i monti solitari che circondano Segovia, dove le sue spoglie furono portate e dove è festeggiato come patrono il 25 ottobre.
Si racconta che gli animali feroci ubbidivano a lui come se fossero esseri ragionevoli.

Autore: Ramon Robres Lluch - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Frutto, pregate per noi.

*San Gaudenzio di Brescia - Vescovo (25 ottobre)

sec. IV-V
Fu l'ottavo vescovo di Brescia, la città in cui era nato. Si sa qualcosa sulla sua vita dai suoi dieci Sermoni, inviati ad un meritevole concittadino che perché malato, non poteva recarsi ad ascoltarlo. Gaudemnzio, per la suo umiltà, pensava di svolgere il suo ministero unicamente attraverso la predicazione. I suoi discorsi vennero copiati e diffusi perché richiesti dai fedeli.
Quando fu eletto vescovo, a furor di popolo e con l'approvazione di Sant'Ambrogio, era in pellegrinaggio in Terra Santa. Fece parte anche della missione di vescovi(obbligati poi a tornare indietro) che il Papa ha inviò in aiuto di Giovanni Crisostomo. Gaudenzio, molto colto ma insicuro, godeva fama di grande santità e per questo ebbe la stima di grandi personalità religiose e civili del suo tempo.
Etimologia: Gaudenzio = allegro, gaudente, dal latino
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Brescia, san Gaudenzio, vescovo, che, ordinato da Sant’Ambrogio, rifulse tra i presuli del suo tempo per dottrina e virtù, istruì il suo popolo con la parola e con gli scritti e fondò una basilica che chiamò Concilio dei Santi.
Ecco un Santo senza biografi. Quello che sappiamo di lui si ricava in parte dai suoi scritti, da lettere di contemporanei e dalle vicende che lo hanno coinvolto. È bresciano di origine, ma non si sa
niente della famiglia, della nascita e della gioventù. Lo troviamo, forse già sacerdote, al fianco del settimo vescovo bresciano, Filastrio. Di sicuro ha fatto buoni studi e gode di largo prestigio tra i concittadini. Infatti, quando Filastrio muore (nel 387 o 388), clero e fedeli designano lui come successore.
Ma Gaudenzio al momento sta percorrendo come pellegrino i luoghi santi; è anzi uno dei pionieri di questi pellegrinaggi. I bresciani allora mandano in Palestina una delegazione per farlo rientrare al più presto. Lui accetta con qualche difficoltà, perché si considera scarso come scrittore di teologia, mentre questo all’epoca è compito fondamentale di ogni vescovo, con tanti punti di fede da precisare, con la varietà di dottrine e di dottrinari che ci sono in giro. (Il vescovo Filastrio ha scritto molto su eresie ed eretici).
Ma infine si convince ad accettare, anche perché la sua nomina è sostenuta da Ambrogio, vescovo di Milano. Così, intorno all’anno 390 viene consacrato vescovo, alla presenza di Ambrogio venuto da Milano, che poi lo chiama nella sua città per una serie di prediche. (Milano è capitale dell’Impero romano d’Occidente: vi risiedono la famiglia imperiale, il governo e i comandi militari). Non si ritiene degno di stendere trattati, e non crede che le sue omelie meritino di essere trascritte. E invece proprio questo accade: da un lato, le trascrivono molti preti per servirsene nella loro predicazione; dall’altro, c’è chi gli richiede più larghe spiegazioni di cose dette da lui in chiesa; e allora gli tocca scrivere. Uno dei più vivaci intellettuali del tempo, Tirannio Rufino di Aquileia, gli scrive: «Il tuo è un ingegno così vivo che bisogna proprio scrivere e pubblicare quello che dici nelle prediche e nelle conversazioni».
Tutta questa attenzione alle parole "parlate” si spiega con la loro novità nei tempi e nelle sedi: niente accanimenti pignoli sull’aggettivo o sul participio in greco, ma raffronti immediati e chiarissimi tra la fede che si professa e i comportamenti. Il vescovo denuncia ingiustizie e ipocrisie, dà voce a quelli che nessuno ascolta. C’è la vita del tempo, nelle sue parole; e per molti esse sono anche un aiuto per conoscersi meglio.
La sua esperienza dell’Oriente gli procura un’importante missione nel 406. A Costantinopoli, il patriarca Giovanni Crisostomo è stato mandato in esilio per la seconda volta, a opera di Eudossia, moglie dell’imperatore Arcadio. Papa Innocenzo I manda Gaudenzio e altri quattro vescovi a Costantinopoli per incontrare Arcadio, promuovere un concilio e ottenere la libertà per il patriarca. Ma l’impresa fallisce: i vescovi vengono bloccati e rimandati indietro prima di arrivare a Costantinopoli.
E Gaudenzio ritorna a Brescia, dove fa sorgere una chiesa dal nome insolito: Concilium Sanctorum. «Il nome voleva dire: qui c’è una collezione di Santi; e i santi sono le reliquie degli apostoli che aveva portato san Gaudenzio nel suo ritorno dalla Terrasanta»: così ha spiegato questo nome Paolo VI, bresciano, parlando a un pellegrinaggio di suoi concittadini nel 1970. Gaudenzio è stato sepolto in quella chiesa nel 411 o 412, già venerato come Santo dal popolo.

(Autore: Domenico Agasso - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Gaudenzio di Brescia, pregate per noi.

*San Gavino, Proto e Gianuario - Martiri di Porto Torres (30 Maggio e 25 Ottobre)

† Porto Torres, 25 e 27 ottobre 303 ca.

Emblema: Palma
Martirologio Romano: A Porto Torres in Sardegna, San Gavino, martire.
Nel “Martirologio Romano”, elenco ufficiale dei Santi e Beati della Chiesa Cattolica, San Gavino viene celebrato il 30 maggio, data proveniente già dal Martirologio Geronimiano.
Ma a Porto Torres, di cui è il Santo patrono, San Gavino è ricordato con gli altri Martiri Turritani, Proto e Gianuario, il 25 ottobre; inoltre la festa della città in onore dei Santi patroni, si tiene la domenica di Pentecoste e il lunedì successivo. I tre martiri sono compatroni anche dell’archidiocesi di Sassari, la cui cattedrale è dedicata a San Nicola di Bari.
Il nome Gavino deriva dal latino ‘Gabinus’, nome etnico che vuol dire ‘abitante di Gabium’, antica località del Lazio, per questo è conosciuto anche come Gabino, usato prevalentemente nell’Impero romano, come il padre di Santa Susanna, San Gabino (19 febbraio).
Comunque voler narrare le vicende terrene e il martirio di San Gavino, è effettivamente arduo, per il numero di tradizioni locali, di compagni affiancatigli nel martirio, di luoghi di provenienza, di culto e celebrazioni in varie città sarde, per le epoche diverse in cui è menzionato; per semplificare, si dà qui la versione più accreditata, tralasciando le altre ipotesi, che vedono San Gavino o Gabino affiancato nel martirio con Crispolo (di Nicomedia), con Crescenziano o Crisogono (di Aquileia) o secondo San Gregorio Magno con Lussorio (Rossore), e per finire come presunto vescovo di Torres.
Nella basilica di San Gavino a Porto Torres, un pittore del XVII secolo ha rappresentato il martirio di Gavino, Proto e Gianuario; il primo è in divisa militare romana, gli altri due in abiti ecclesiastici, anziano con barba Proto e giovane Gianuario.
L’anonimo estensore della “Passio” del XII sec., pervenuta dall’abbazia di Clairvaux, poté utilizzare le poche notizie riportate dal ‘Martirologio Geronimiano’ del VI secolo, cioè i loro nomi, la città e la data del martirio. Gavino era morto decapitato il 25 ottobre 303 ca. al tempo della persecuzione di Diocleziano; Proto e Gianuario ebbero stessa sorte il 27 ottobre, due giorni dopo.
Che Gavino fosse un soldato, e Proto un sacerdote e Gianuario un diacono, l’autore deve averlo dedotto da altre antiche fonti, oppure da tradizione orale tramandata localmente.
La ‘Passio’ narra che Proto sacerdote e Gianuario suo diacono, erano nati in Sardegna e allevati a Turris (in seguito Turres e poi Porto Torres), fondata nel 46 a.C., situata nel Golfo dell’Asinara, di fronte all’omonima isola; e predicavano il Vangelo sul Monte Agellus, quando fu pubblicato l’editto di Diocleziano e Massimiano, per la persecuzione contro i cristiani.
Alcuni pagani del luogo, irritati per la loro presenza, si recarono in Corsica, dove risiedeva il preside Barbaro, inviato nelle due grandi isole per fare applicare l’editto imperiale, e denunziarono la loro presenza.
Barbaro li fece arrestare e condurre alla sua presenza, alle loro convinte risposte, ordinò di portare Proto nelle isole ‘Cuniculariae’(arcipelago della Maddalena), mentre trattenne Gianuario con la speranza di convertirlo.
Trasferitosi in Sardegna a Turris, il preside Barbaro fece rientrare Proto riunendolo a Gianuario e ancora una volta, cercò di convincerli a ritornare al paganesimo.
Al loro fiero rifiuto li fece torturare, lacerando le loro carni con unghie di ferro; poi feriti furono messi in prigione, sotto la custodia di un soldato semplice di nome Gavino; il soldato di idee non ostili ai cristiani, colpito dal loro comportamento e dalle loro parole, li liberò chiedendo solo di ricordarsi di lui nelle loro preghiere.
I due fuggitivi lasciarono la città e si rifugiarono in una caverna; il giorno seguente il preside Barbaro ordinò che gli fossero portati i due prigionieri, ma il soldato Gavino, professandosi cristiano, confessò di averli liberati.
Fu subito condannato a morte e mentre lo conducevano sul luogo del supplizio, lungo la strada incontrò una donna cristiana che l’aveva spesso ospitato, la quale gli diede un velo per bendarsi gli occhi; Gavino fu decapitato vicino al mare e il suo corpo gettato dalle rupi nelle onde, dove scomparve.
Dopo la morte Gavino apparve a Calpurnio marito della donna cristiana e dopo averlo aiutato a rialzare le sue bestie cadute, gli affidò il velo prestatogli, dicendo di restituirlo a sua moglie.
Quando l’uomo tornò a casa, trovò la moglie piangente per la morte di Gavino, ma Calpurnio non poteva crederci visto che l’aveva incontrato lungo la strada, tanto è vero che gli aveva dato il velo per lei; ma una volta spiegato il velo, si accorsero che era macchiato di sangue.
Poi il martire Gavino apparve ai due fuggitivi nella caverna, invitandoli a tornare a Turris per ricevere come lui il martirio; Proto e Gianuario obbedirono e furono decapitati il 27 ottobre, e i loro corpi seppelliti.
Il 3 maggio c’è l’inizio di una festa per celebrare la traslazione dei corpi dei santi patroni a Porto Torres. Dalla Basilica di San Gavino, la più grande e antica delle chiese romaniche della Sardegna, parte una processione imponente che accompagna i “Corpi Santi”, cioè i simulacri lignei dei tre santi Gavino, Proto e Gianuario, fino alla chiesetta di Balai-vicino, detta anche di S. Gavino a Mare, dove adiacenti e comunicanti con la cappella, vi sono tre ambienti ricavati nella roccia, utilizzati come sepolcri in epoca romana, uno di questi sulla sinistra della chiesetta, sarebbe il sepolcro dei tre martiri.
Qui vengono lasciati fino a Pentecoste e la chiesa, chiusa per il resto dell’anno, diventa in questo periodo meta di continuo pellegrinaggio. La sera del giorno di Pentecoste con altra solenne processione i tre “Corpi Santi” vengono riportati nella Basilica di Monte Agellus, passando per il lungomare.
Infine il lunedì seguente, dopo la Messa solenne, una processione Eucaristica giunge fino al porto dove viene impartita la solenne benedizione.
Una leggenda, ignorando la ‘Passio’ che dice che il corpo di s. Gavino fu gettato a mare, racconta che i corpi furono scoperti nel Medioevo dal giudice Comita, che era stato colpito dalla lebbra; San Gavino apparsagli in sogno, gli disse che se voleva guarire doveva cercare il suo corpo e quello dei compagni sepolti a Balai-vicino e portarli in un luogo migliore, costruendo una chiesa; così sorse l’attuale Basilica che risale all’inizio del XII secolo.
Ma un’altra ipotesi, dice che verso l’VIII-X secolo, l’antica cattedrale di Turris del 517, andò in rovina insieme con la città, a causa delle continue scorrerie dei Saraceni; quando grazie alle vittorie di Pisa e Genova sugli Arabi, il porto ricominciò a fiorire, una delle prime decisioni dei Giudici che si erano trasferiti all’interno, fu quella di costruire una nuova chiesa in onore dei tre martiri; e grazie al giudice Comita fu innalzata l’attuale Basilica, utilizzando materiale della precedente chiesa.
Un’altra leggenda, in contrasto con la ‘Passio’, dice che tutti e tre i martiri, dopo giustiziati furono gettati in mare e i loro corpi riaffiorarono proprio nel punto dove sorse poi la chiesetta di Balai-lontano, detta anche di San Gavino decollato.
Il culto per San Gavino, oltre che in Sardegna è molto diffuso nella vicina Corsica, dove ben cinque paesi portano il suo nome; inoltre è da segnalare la presenza di chiese dedicate al santo, nella zona del Mugello in Toscana e in Campania. È da segnalare che il culto dei sardi per il loro Santo, ha portato ad un fatto singolare, l’intero mese di ottobre, il mese del martirio è per i sardi Santu Aini (Gavini).
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Gavino, Proto e Gianuario, pregate per noi.

*Sant'Ilaro (Ilario) di Javols - Vescovo (25 ottobre)

† 540 circa
Martirologio Romano: Nel territorio di Javols in Francia, sant’Ilario, vescovo di Mende.
Ilaro (lat. Hilarus; fr. Chély, Hilaire, Illier, Yle) da vescovo dell’antica sede di Javols, nella provincia del Gévaudan, nella prima metà del secolo VI. Nel 528 egli accolse San Lubino di Chartres, allora esiliato. Nel 535 prese parte ad un concilio tenuto in Alvernia.
Edificò un monastero, presso il quale venne a rifugiarsi Sant'Enzima, e che da allora mutò patrono. Ilaro morì certamente verso il 540, poiché nel 541 si trova già il nome del suo successore al quarto concilio di Orléans.
Nel 636 il suo corpo venne trasferito a san Denis presso Parigi e quindi, nel 777, sotto Fulrado abate, a Salones nella diocesi di Metz. Verso l’815 le reliquie ritornarono a san Denis dove si trovavano ancora nel 1625. Esse furono disperse durante la Rivoluzione nel 1793; una parte, tuttavia, era ritornata nel 1608 a Mende dove era stata trasferita la sede di Javols.
Ricordato nel Martirologio Romano il 25 ottobre, Ilaro è festeggiato nel Proprio della diocesi di Mende. Non è più il caso di sdoppiare questo Ilaro del 25 ottobre con l’Ilero, egualmente festeggiato nella diocesi di Mende, ma al 1° dicembre, e ciò almeno dalla fine del secolo XIII, perché i migliori critici sono ormai per l’identità dei due personaggi.
Ilaro ha dato il suo nome a tre villaggi della Lozère e dell’Aveyron: San Chély d’Apchèr, San Chély du Tarn (cantone di Ste-Enimie) e San Chély d’Aubrac.

(Autore: Gérard Mathon - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Ilaro di Javols, pregate per noi.

*Beato Ludovico di Arnstein - Premostratense (25 ottobre)

† Gommersheim, Germania, 25 ottobre 1185
Nel 1139, Ludovico trasformò il suo castello di Arnstein (diocesi di Treviri), in due monasteri per religiosi e religiose Premostratensi provenienti da quello “Gratia Dei” di Magdeburgo.
Ludovico entrò tra i religiosi, mentre sua moglie Eutta o Iutta tra le religiose. Egli volle rimanere sempre semplice fratello converso, attendendo col più grande impegno all’amministrazione del monastero che gli fu confidata.
Si esercitò mirabilmente nelle virtù cristiane: eccelse nell’umiltà e nella misericordia verso i poveri.
Il duplice monastero non ebbe lunga vita: le religiose canonichesse infatti ben presto si trasferirono a Gommersheim, diocesi di Magonza: in questo monastero Ludovico morì il 25 ottobre 1185.
Le sue spoglie furono traslate ad Arnstein, e poste nel sepolcro davanti all’altar maggiore.
Il culto pubblico di Ludovico fu concesso alla Congregazione dei Premostratensi in Spagna, praticamente separata dal resto dell’Ordine fin dal sec. XVI; tale Congregazione finì all’inizio del sec. XIX e con essa cessò il culto pubblico a Ludovico di Arnstein.

(Autore: Giovanni Battista Valvekens - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Ludovico di Arnstein, pregate per noi.

*Beata Maria Teresa Ferragud Roig e 4 figlie Suore - Martiri (25 ottobre)

Algemesì, Spagna, 14 gennaio 1853 - Cruz Cubierta, Spagna, 25 ottobre 1936
Maria Teresa Ferragud Roig nacque il 14 gennaio 1853 a Algemesì in Spagna.
Il 23 novembre 1872 sposò Vicente Silverio Masià, uomo di profonda fede e dal matrimonio nacquero nove figli, tra i quali tre clarisse cappuccine ed un'agostiniana scalza: Maria Jesus, Maria Veronica, Maria Felicidad Masià Ferragud e Josefa della Purificazione.
Maria Teresa andava tutti i giorni a Messa, essendo assai devota al Santissimo Sacramento, alla Madonna ed al Sacro Cuore di Gesù.
Promosse attività caritatevoli specialmente attraverso la Confraternita di San Vicenzo de' Paoli, della quale fu anche presidente.

Allo scoppio della guerra civile e della persecuzione religiosa che attraversò la Spagna negli anni '30 del secolo scorso, Maria Teresa rimase accolse in casa le quattro figlie religiose.
Queste furono però trovate ed anche la madre fu imprigionata con loro perché rifiutò di lasciarle sole.
Il 25 ottobre 1936 furono uccise tutte presso Cruz Cubierta.
Maria Teresa chiese di essere fucilata per ultima, per poter incoraggiare le figlie nella fedeltà al Signore.
E tutte gridarono «Viva Cristo Re!» e perdonando i loro carnefici. (Avvenire)
Martirologio Romano: Ad Alzira nel territorio di Valencia sempre in Spagna, Beate Maria Teresa Ferragud Roig e le sue figlie Maria di Gesù (Vincenza), Maria Veronica (Gioacchina), Maria Felicita Masiá Ferragud, vergine dell’Ordine delle Clarisse Cappuccine, e Giuseppa della Purificazione (Raimonda) Masiá Ferragud, vergini dell’Ordine delle Agostiniane Scalze, martiri, che sempre nella stessa persecuzione furono incoronate per avere coraggiosamente reso testimonianza a Cristo.
Maria Teresa Ferragud Roig, fedele laica dell’arcidiocesi di Valencia, nacque il 14 gennaio 1853 a Algemesì in Spagna..
Il 23 novembre 1872 si sposò con Vicente Silverio Masià, uomo di fede profonda e costante preghiera, e da tale matrimonio nacquero ben nove figli, tra le quali tre Clarisse Cappuccine ed un’Agostiniana Scalza:
Maria Jesus (Maria Vincenta Masià Ferragud), nata il 12 gennaio 1882,
Maria Veronica (Maria Joaquina Masià Ferragud), nata il 15 giugno 1884,
Maria Felicidad Masià Ferragud, nata il 29 agosto 1890, e
Josefa della Purificazione (Josefa Ramona Masià Ferragud), nata il 10 giugno 1897.
Maria Teresa era solita prender parte quotidianamente alla celebrazione eucaristica, essendo assai devota al Santissimo Sacramento, alla Madonna, mediante la recita del Santo Rosario, ed al Sacro Cuore di Gesù.
Promosse attività caritatevoli specialmente attraverso la Confraternita di San Vicenzo de’ Paoli, della quale fu anche presidentessa.

Allo scoppio della guerra civile e della feroce persecuzione religiosa che attraversò la Spagna negli anni ’30 del XX secolo, Maria Teresa rimase molto sconvolta ed accolse con gioia in casa le quattro figlie religiose.
Queste furono però comunque scovate ed anche la madre fu con loro imprigionata perchè rifiutò di lasciarle sole.
Pochi giorni dopo, il 25 ottobre 1936, le cinque donne furono uccise insieme presso Cruz Cubierta.
Maria Teresa chiese di essere fucilata per ultima, per poter incoraggiare le figlie nella fedeltà al Divino Sposo.
Tutte quante terminarono la loro esistenza terrena gridando “Viva Cristo Re!” e perdonando i loro carnefici.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Maria Teresa Ferragud Roig e 4 figlie Suore, pregate per noi.

*Santi Martirio e Marciano - Martiri (25 ottobre)

Martirologio Romano: A Costantinopoli, Santi Martirio, suddiacono, e Marciano, cantore, uccisi dagli ariani sotto l’imperatore Costanzo.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Martirio e Marciano, pregate per noi.

*San Mauro di Pecs - Vescovo (25 ottobre)

† 1070 circa
Martirologio Romano: A Pécs in Ungheria, San Mauro, vescovo, che fu maestro di eloquenza per quasi tutta la vita e visse, infine, come monaco e poi abate nel monastero di San Martino.
Si è ben poco informati sulla sua vita. Nacque intorno al 1000 e lo si ritiene ungherese di origine; si suppone anche che abbia avuto la sua formazione culturale in Ungheria.
Intorno al 1030 è abate del monastero benedettino di Pannonhalma, dove incontra il re Stefano il santo e il figlio Emerico.

Dell'incontro conserva un ricordo la Vita di B. Henrici, da cui risulta il modo di vivere assai virtuoso del santo. A partire dal 1036 è vescovo di Pécs.
Nel 1055 lo troviamo ricordato in un diploma del re Andrea I. Intorno al 1064 compone un'opera, la Vita SS. heremitarum Zoerardi confessori et Benedicti martyris, che testimonia di una sicura cultura letteraria.
Morì intorno al 1070.
Il culto tributatogli ab immemorabili fu approvato nel 1848; la sua festa si celebra a Pécs il 25 ottobre, mentre nei martirologi benedettini è commemorato il 4 dicembre.

(Autore: Edith Pasztor - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Mauro di Pecs, pregate per noi.

*Santi Mauro e Beneria - Sposi e Martiri (25 ottobre)

† Sardegna
I coniugi Mauro e Beneria vennero decapitati in odio alla fede cristiana ed il loro martirio fu così giusta causa della venerazione nei loro confronti quali "Santi".
Sono commemorati al 25 ottobre.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Mauro e Beneria, pregate per noi.

*San Miniato di Firenze - Martire (25 ottobre)

Sec. III
Nel mosaico dell’abside della celeberrima chiesa fiorentina che porta il suo nome, il protomartire Miniato è raffigurato come re, mentre la tradizione lo ritiene un soldato. Una leggenda lo identifica, infatti, con una testa coronata armena di passaggio in città intorno al 250, durante la persecuzione di Decio. Si rifiutò di venerare gli dèi pagani e venne messo a morte.
Dopo molti supplizi, la narrazione vuole che prendesse in mano la testa mozzata e si recasse sul «mons florentinus». Ciò forse per giustificare l’edificazione del tempio su una collina fuori città, mentre il martirio sarebbe avvenuto nell’anfiteatro. Oggi si ritiene fosse un fiorentino, forse di umili origini, ucciso nei pressi di un’ansa dell’Arno, detta «gorgo», dove i fiorentini hanno a lungo venerato una Croce del gorgo. (Avvenire)
Emblema: Palma
Martirologio Romano: A Firenze, San Miniato, martire.
Nei dintorni di Firenze, c'è una località che tutti i turisti e gli innamorati delle cose belle conoscono ed amano. Quante migliaia di persone han contemplato, dallo spalto di San Miniato, il tramonto del sole sulla città del Giglio, coi colori che si accendono, sfumano e muoiono; e la striscia luminosa del fiume che riverbera l'argento, l'oro o il fuoco del cielo occidentale?
Pochi forse, in quello scenario di bellezza, si domandano chi sia il Santo da cui la Chiesa prende nome e che è, in un certo senso, origine e causa di questa eccezionale espressione di armonia. Ma, almeno a Firenze, tutti conoscono la storia, o meglio la leggenda, di San Miniato, primo Martire fiorentino.
Miniato, secondo la leggenda, sarebbe stato un Re armeno, di passaggio da Firenze, durante la persecuzione di Decio, cioè nel 250. Rifiutò il sacrificio agli dei. La leggenda scritta subito dopo il Mille, ricorda numerosi tormenti ai quali venne inutilmente sottoposto: uscì illeso da un forno
arroventato; si liberò miracolosamente dei ceppi che lo stiravano sul cavalletto; fece stramazzare un leone, con un segno di Croce, nell'anfiteatro che sorgeva fuori della città, verso levante, e di cui si riconosce ancora il ricurvo perimetro.
Finalmente venne decapitato. Ma anche con la testa mozza, la leggenda non abbandonò il primo Martire fiorentino. Infatti, la chiesa a lui dedicata, e quindi la sua sepoltura, sorgeva sul colle, ad una certa distanza dalla città. Bisognava dunque giustificare quell'insolita e bellissima ubicazione del Santuario dedicato al Martire soldato.
Si disse perciò che dopo la decapitazione, Miniato si rialzasse, e, afferrata la propria testa in mano, si desse a correre verso quello che veniva chiamato mons fiorentinus, il Monte di Firenze, folto di ulivi e di lauri. Lassù giacque, testimoniando chiaramente la sua volontà di esservi sepolto e onorato. Al posto della leggenda, oggi la storia suppone che Miniato sia stato un autentico fiorentino, forse di bassa condizione e che il suo martirio avvenisse, non nell'anfiteatro ma dove l'Arno faceva un'ansa, detta " gorgo ". Da tempo immemorabile, i Fiorentini veneravano una Croce, chiamata la Croce al Gorgo che - molto probabilmente - segnava il luogo dove il primo Martire fiorentino testimoniò col sangue la propria fede.
Entrando nella chiesa di San Miniato e salendo sull'alto presbiterio, si può vedere, nel mosaico dell'abside, il Martire fiorentino raffigurato, insieme con la Vergine, al lato del Cristo, giudice e Sovrano. Egli non vi appare però cogli attributi di soldato, ma con quelli di Re, dovuti ad un'altra, fantasiosa tradizione, che faceva di San Miniato un Re armeno. In realtà non si sa, né forse si potrà mai sapere con sicurezza, chi fosse il Santo che diede il nome alla Chiesa dei mons florentinus, e se sia davvero esistito un Martire fiorentino di nome Miniato.
Può darsi che nella chiesa, sorta non lontano dalla via per Roma, per il servizio dei fedeli e dei pellegrini, fossero poste alcune reliquie di un Santo di lontani paesi, probabilmente egiziano, abbastanza noto in quei tempi.
Più tardi, perduto il ricordo di questo, prese forma nella fantasia dei devoti la figura di un San Miniato, soldato e Martire fiorentino, il cui culto si arricchì di particolari sempre nuovi, come si arricchiva, sul colle toscano, la basilica a lui dedicata. E questa, più che aureola di gloria per un Santo, può dirsi espressione della fede di un intero popolo, sensibile alla bellezza e alla santità.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Miniato di Firenze, pregate per noi.

*Beato Riccardo Centelles Abad - Sacerdote e Martire (25 ottobre)

Schede dei Gruppi a cui appartiene:
"Beati Martiri Spagnoli della Fraternità dei Sacerdoti Operai Diocesani del Cuore" - Senza Data (Celebrazioni singole)
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)

Nacque a Vall d'Uxó, provincia di Castellón, il 23 maggio 1904. Dopo la formazione nel Seminario di San Giuseppe, a Tortosa, svolse gli studi sacerdotali fino all'ultimo corso che seguì nel seminario di Tarragona come prefetto.

Il 12 agosto 1928 entrò nella Fraternità, il 25 maggio 1929 fu ordinato sacerdote ed il 12 agosto 1929 emise i voti temporali.
Lavorò nell'apostolato della formazione dei sacerdoti nel seminario di Tarragona, nel collegio vocazionale di Tortosa e come Rettore nel seminario minore di Tortosa.
Fu fucilato tra le mura del nuovo cimitero di Nules (Castellón) il 25 ottobre 1936, domenica di Cristo Re; aveva 32 anni.
Martirologio Romano:
Nella cittadina di Nules vicino a Tortosa in Spagna, Beato Riccardo Centelles Abad, sacerdote della Società dei Preti Operai Diocesani e martire, che fu ucciso in odio al sacerdozio durante la persecuzione contro la Chiesa alle porte del cimitero.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Riccardo Centelles Abad, pregate per noi.

*San Rufiniano di Bayeux - Vescovo (25 ottobre)

V sec.
San Rufiniano o Rufinien è un vescovo di Bayeux. La sua posizione, nella cronotassi ufficiale della diocesi, lo pone al terzo posto, dopo San Regnobert e prima di San Lupo.
Va evidenziato che i cataloghi episcopali di Bayeux, del XII e XIII secolo sono attendibili e documentabili storicamente solo a partire dal vescovo Hugues d'Ivry vissuto all’inizio del Mille e deceduto nel 1049.
Sui primi vescovi, i cataloghi sono incompleti anche se presentano una serie di ben 14 vescovi santi, desunti per la maggior parte da tradizioni agiografiche e liturgiche di dubbia storicità e comunque
non facilmente databili.
Con il suo governo della diocesi, da collocarsi nel V secolo, si presume abbia contribuito in maniera preponderante all’evangelizzazione della zona di Bayeux.
Secondo una fiorente leggenda si dice che fu lui a battezzare e ad istruire il suo successore Sal Lupo.
Di questo vescovo non sappiamo nulla. Su di lui ci sono solo alcuni cenni nella “Vita” di San Lupo, compilata molti anni dopo.
Non sappiamo quanto durò il suo governo della diocesi.
Anticamente non esisteva alcun culto per San Rufiniano.
Il suo corpo è stato sepolto ed è conservato nella chiesa di Sant’Essupero di Bayeux e il culto per questo Santo iniziò a fiorire intorno al Seicento. In una delle volte della Cattedrale di Bayeux esiste una pittura con l’immagine del suo volto.
Anche se alcuni onorano la sua memoria il 5 settembre, la sua festa è stata fissata il 25 ottobre.

(Autore: Mauro Bonato - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Rufiniano di Bayeux, pregate per noi.

*Santa Tabìta di Ioppe - Vedova (25 ottobre)

Sec. I
Senza nessuna memoria di Santo registrata per oggi dal Calendario della Chiesa, rinverdiremo il ricordo di una Santa dal nome insolito: Tabita. Nome che diviene, però, quanto mai suggestivo quando si sappia che Tabita in ebraico, significava "gazzella", e che "gazzella", a sua volta, era nome composto con la parola ebraica "bellezza", evidentemente grazie alla delicata eleganza di questo animale.
In greco, la Santa di oggi è chiamata Dorcas: il significato di questo nome è identico, perché vuoi dire anch'esso " gazzella".
Che cosa sappiamo sul conto della gazzella cristiana? Conosciamo soprattutto - anzi, esclusivamente - un episodio narrato dagli Atti degli Apostoli, che resta tra i miracoli più celebri dell'Apostolo Pietro.
Rileggiamo insieme: "C'era nella terra di loppe, - è scritto, - una cara discepola, chiamata Tabíta, che tradotto significava Dorcas. Era donna ricca di buone opere, e faceva molte elemosine.
"Avvenne che proprio in quei giorni ella si ammalò, e morì. E, dopo che l'ebbero lavata, la posero nella sala al piano di sopra. Siccome Lidda era vicina a Joppe, i discepoli, saputo che Pietro era lì, gli
mandarono due uomini a pregarlo: "Non ti dispiaccia venire sino noi!".
"Pietro si levò, e andò con loro e, come fu giunto, lo condussero nella sala di sopra. Tutte le vedove gli si fecero intorno, piangendo, mostrando le vesti e i mantelli di ogni genere che Dorcas faceva per loro.
"Allora Pietro, fatti uscire tutti fuori, si mise in ginocchio e pregò. Poi, rivoltosi alla morta, disse: "Tabíta, alzati”, ed ella apri gli occhi e, vedendo Pietro, si levò a sedere.
"Pietro le dette una mano, e la fece alzare e, chiamati i santi e le vedove, la presentò a loro viva.
"Il fatto - aggiungono gli Atti degli Apostoli - venne risaputo per tutta loppe, e molti credettero nel Signore. Pietro si fermò a Joppe diversi giorni, in casa di un certo Simone, cuoiaio".
Nulla di più sappiamo sul conto della donna di Joppe, cioè deIl'odierna città di Giaffa. L'episodio miracoloso narrato dagli Atti degli Apostoli è l'unica testimonianza storica alla quale è affidato il ricordo della "gazzella" cristiana, richiamata in vita dalle preghiere di San Pietro.
I Greci introdussero il nome della "cara discepola" nel Calendario dei Santi, ma non si può dire che Tabita abbia mai conosciuto un culto particolare né una diffusa devozione. La sua memoria, tra i Santi, è restata sempre un po' in disparte, e neanche le leggende hanno aggiunto un seguito al clamoroso miracolo di loppe.
Ma la memoria della gazzella risvegliata dal sonno eterno dalle preghiere di San Pietro non si è perduta, e dalle pagine del testo ispirato, la figura della donna generosa si leva ancora eloquente davanti a noi, pur nell'oscurità che la circonda prima e poi.
Fonte: Archivio Parrocchia - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Santa Tabìta di Ioppe, pregate per noi.

*Beato Taddeo Machar (Tadhg MacCarthy) - Vescovo (25 ottobre)

Cork, Irlanda, 1455 circa – Ivrea, Torino, 25 ottobre 1497
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Borgo Sant’Antonio, presso Ivrea, in Piemonte, transito del beato Taddeo Machar, vescovo di Cork e Cloyne in Irlanda, che lasciò la sua sede per i problemi causati dall’ostilità dei potenti e, mentre era in viaggio per Roma, passò al cielo.
«A Borgo Sant’Antonio, presso Ivrea, in Piemonte - ricorda oggi il Martirologio Romano – transito del Beato Taddeo Machar, vescovo di Cork e Cloyne in Irlanda, che lasciò la sua sede per i problemi causati dall’ostilità dei potenti e, mentre era in viaggio per Roma, passò al cielo».
Era un giovane: aveva 37 anni quando morì; dieci anni prima, trovandosi a Roma per gli studi fu elevato da Papa Sisto IV alla cattedra episcopale di Ross e a Roma ricevette la consacrazione episcopale nella chiesa di Santo Stefano del Cacco che conosco bene, essendo vissuto molti anni non lontano da essa.
Ritornato in patria, nei torbidi maneggi che si intrecciavano alle lotte politiche fra i Tudor e gli York, a Taddeo fu impedito di prendere possesso della diocesi, a capo della quale dai potenti di turno era posto un altro vescovo. Il temperamento – quello di un giovane e per di più, come è tipico del suo popolo, caratterizzato da passionalità, entusiasmo, ardimento – lo portava a farsi le sue
ragioni a suon di battaglia… Ma decise un’altra via: farsi  pellegrino a Roma per chiedere il giudizio del Papa; Innocenzo VIII, succeduto a Papa Sisto, pensò di risolvere la spinosa questione destinandolo alla diocesi di Cork e Cloyne.
Riprese, quindi, la strada per l’Irlanda, ma, giunto in sede, trovò anch’essa occupata e ripartì per Roma un’altra volta, dove dal Papa ottenne piena conferma della sua nomina.
Fu durante il viaggio di ritorno che, il 24 ottobre 1492 (Cristoforo Colombo da pochi giorni era arrivato nel “Nuovo mondo” e una nuova fase iniziava nella storia anche del vecchio mondo…), ammalatosi gravemente, chiese qui ospitalità come sconosciuto pellegrino: fu riconosciuto come vescovo per l’anello episcopale e i documenti trovati, dopo la morte, nel  suo  bagaglio. Gli  Eporediesi, commossi, lo  seppellirono  in cattedrale, dove ancora riposano le sue ossa, e a perpetua memoria fu posta la scritta: Sepulcrum beati Thaddaei episcopi Hiberniae». La nostra Chiesa lo venera fra i suoi Santi, benché per nascita egli non le appartenga.
«Io, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto…» scrive san Paolo. Anche il beato Taddeo ci esorta…: la vita dei Santi è sempre una esortazione per i discepoli del Signore che vogliono camminare sulla Via che è Cristo Gesù: la Madre Chiesa, infatti, ce li presenta come «amici e modelli di vita».
Il Beato, con il suo esempio, ci esorta esattamente a ciò che San Paolo scriveva agli efesini (Ef 4,  1-6): «Comportatevi  in  maniera  degna  della  chiamata  che  avete  ricevuto,  con  ogni  umiltà,
dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l'unità
dello spirito per mezzo del vincolo della pace».
Vorrei sottolineare queste parole: unità; vincolo della pace, umiltà, dolcezza, sopportazione con amore, che non sono debolezza, ma autentica forza; la chiamata che ci è stata rivolta: essere di Cristo, appartenere a Lui, creature nuove: un modo nuovo di pensare e di agire…
Il beato Taddeo Mc Carthy è davanti a noi come un cristiano, un vescovo, che dalla forza dello Spirito di Cristo e del Padre ha lasciato piegare il suo battagliero spirito irlandese e, per affermare i suoi diritti – le ragioni della verità – ha scelto, in un’epoca e in una situazione di violenza e di sopruso, di farsi pellegrino, per ben due volte, a breve distanza, attraversando il mare e percorrendo le strade dell’Europa.
Non è fuggito: ha camminato! Non si è arreso: ha combattuto! Ha vinto scegliendo la forza di Gesù Cristo vivente nella Chiesa, sostenuto dalla convinzione che c’è «un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti».
L’adesione a questa unità è la vera vittoria. Altre strade possono sembrare vittoriose, ma portano sempre alla sconfitta, poiché ciò che conta non è vincere, in qualunque modo, una battaglia, ma è vincere l’intero combattimento: e il più grande: quello contro le proprie passioni disordinate, gli istinti, l’orgoglio, primo dei vizi capitali… «Ai piccoli è rivelato il mistero del Regno dei cieli» abbiamo ascoltato dal Signore mentre cantavamo l’Alleluia.
Fu un “piccolo” il beato Taddeo: avrebbe potuto schierare i suoi amici potenti contro i potenti nemici che usurpavano il diritto e il dovere ricevuto dalla Chiesa. Ha vinto con il metodo evangelico, con le armi evangeliche!
La verità ha i suoi diritti e nei confronti di essa abbiamo dei doveri!
La confusione che oggi regna nelle menti e la chiusura degli occhi di molti sulla realtà mostrano quanto il nostro tempo abbia bisogno della proclamazione della verità. «Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate» diceva Chesterton: occorrerà dar battaglia per affermare le cose più evidenti…
Ma lo stile della battaglia, per il cristiano, è quello del beato Taddeo: una impostazione che vale nei rapporti all’interno della società e anche nei rapporti dentro le Comunità cristiane…
La pace che siamo chiamati a costruire non è venire a patti sulla verità, non è l’annacquamento della verità in un irenismo che spesso significa ruotare intorno a se stessi anziché cercare la verità: è l’umile atteggiamento di chi vive nella fede, senza arretrare di fronte alla contrarietà ed alla persecuzione.
Il beato Taddeo seppe scrutare i “segni” di cui Gesù ci parla nella pagina del Vangelo (Lc 12, 54-59): «Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: "Arriva la pioggia", e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: "Farà caldo", e così accade».
Siamo capaci noi di vedere? o meritiamo il rimprovero di Gesù: «Ipocriti! come mai questo tempo non sapete valutarlo? E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto?». Il Beato Taddeo ci sostenga nella proclamazione della verità e nel coraggio di amarla anche a costo di fatiche!
I miracoli avvenuti ad Ivrea, al tempo della morte del Beato, possono accadere anche oggi se aderiamo a Cristo e scegliamo di diventare “pellegrini”, cioè Suoi discepoli senza “ipocrisia”.
E’ di questi miracoli che l’uomo di oggi ha bisogno; ha bisogno di vedere il “miracolo di un cambiamento”, il miracolo di una vita che cambia, che diventa vera perché testimonia, dentro la quotidianità dell’esistenza, la felicità nuova che scaturisce dall’incontro con Cristo, dall’amicizia vissuta con Lui!
Autore: Mons. Edoardo Aldo Cerrato CO
Tadhg MacCarthy, meglio noto in Italia come Taddeo Machar, apparteneva alla famiglia reale omonima di Munster in Irlanda. Nacque verso l’anno 1455 a Cork dal principe di Muskerry e dalla figlia di Fitz-Maurice, principe del Kerry. Assai poco sappiamo sui suoi primi anni di vita, ma è noto che lo contraddistinguessero alcune caratteristiche tipiche degli irlandesi suoi compatrioti: il fervore religioso, l’entusiasmo spirituale ed anche, come vedremo, l’impazienza, per non dire il furore.
Intraprese gli studi ecclesiastici presso i frati minori a Kilcrea, per poi recarsi all’estero. Nel 1482 si trovava evidentemente a Roma quando il pontefice Sisto IV lo nominò vescovo di Ross, in Irlanda.Taddeo non godette però di lunga pace.
Infatti tre anni dopo, quando Enrico Tudor ascese al trono, i suoi avversari della casa di York tentarono di consolidare il dominio sull’Irlanda impossessandosi del maggior numero possibile di
cattedre episcopali. Ugo O’Driscoll, già vescovo ausiliare di Ross, fu indicato dai sostenitori degli York quale unico e legittimo vescovo di tale diocesi. Provvedettero inoltre a muovere accuse a Roma contro il povero Taddeo, che nel 1488 fu sospeso dal papa.
Nel frattempo Taddeo fu costretto a lasciare la diocesi e si stabilì in un’abbazia cistercense che il vescovo di Clogher gli aveva donato “in commendam”. Meditò però di difendere in prima persona la propria causa ed a tal fine tornò a Roma. Due anni dopo, pur confermando Ugo alla cattedra di Ross, papa Innocenzo VIII lo destinò a reggere la diocesi unificata di Cork e Cloyne. Giunto così nella nuova sede, Taddeo trovò però la cattedrale chiusa e tutte le donazioni in mano ai suoi vecchi avversari. Non riuscendo a far valere i propri diritti episcopali, non gli restò che fare ritorno a Roma per l’ennesima volta.
Dal sommo pontefice ottenne pieno appoggio e potè ripartire con delle lettere papali per il potente conte di Kildare d’Irlanda ed altri eminenti personaggi, con le quali si ordinava di aiutare il vescovo a prendere possesso della sua diocesi. Incamminatosi, dovette però fermarsi ad Ivrea, ai piedi delle Alpi in Piemonte, stremato dalle fatiche. Ricoverato presso i Canonici Regolari di San Bernardo, rese l’anima a Dio il 25 ottobre 1492.
La storia di questo vescovo esule e pellegrino dal successore di Pietro colpì molto i fedeli eporediesi e canavesani, che presero a venerarlo come un santo. La sua tomba nella cattedrale cittadina divenne meta di pellegrinaggi e fonte di miracoli. Il suo culto fu ufficialmente confermato solo nel 1895 da Papa Leone XIII, su interessamento dei vescovi di Ivrea e York.
Preghiera
Dio, Padre misericordioso, Tu hai offerto nella Chiesa eporediese l’ultima accoglienza terrena al vescovo d’Irlanda Taddeo McCarthy, ammirevole esempio di fedeltà alla Chiesa, di fortezza di spirito, di povertà evangelica, di operatore di giustizia e di pace.
Alla Cattedrale di Ivrea hai fatto dono delle sue spoglie mortali. Con la sua potente intercessione noi Ti preghiamo, o Signore, che la Chiesa che è in Ivrea e le Chiese sorelle di Cork, di Ross e di Cloyne siano presenza viva di Cristo nel mondo, specialmente con i piccoli e i poveri e, in comunione con i loro vescovi, sappiano, sull’esempio del Beato Taddeo, renderne testimonianza, collaborando a stabilire tra i popoli un’autentica pace. Te lo chiediamo con l’umiltà e la fiducia della Vergine Maria, per Cristo nostro Signore. Amen.

(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Taddeo Machar, pregate per noi.

*San Tegulo (Tegolo) - Martire (25 ottobre)

Il 25 ottobre, nel calendario liturgico della regione conciliare piemontese, viene menzionato il martire San Tegolo, venerato nella città di Ivrea. Le notizie di questo Santo sono assai scarse e principalmente di carattere cultuale, non essendo giunta nessuna testimonianza circa l’epoca, le modalità ed il preciso luogo della sua morte avvenuta, molto probabilmente, nel corso di una delle ultime persecuzioni organizzate dall’impero romano contro la nascente comunità cristiana.
Il suo culto nasce alla fine del X secolo, quando, all’epoca dell’episcopato del beato Varmondo, nella campagna a poca distanza da Ivrea, viene ritrovato il suo sepolcro e le sue reliquie vengono trasferite, con solenne corteo nella cattedrale entro le mura, per essere deposte nella cappella di San Giacomo. Da quel momento, il presunto martire inizia ad essere venerato con culto liturgico e la sua immagine inizia ad essere riprodotta insieme a quella degli altri santi protettori della città e nella diocesi, come si può vedere in un grande affresco nel vescovado.
Come avvenuto per altri sconosciuti santi dell’area piemontese, anche Tegolo venne annoverato nel numero dei martiri appartenenti alla legione Tebea, capitanata da San Maurizio. Purtroppo, anche nel caso del martire eporediese, tale ipotesi è priva di documentazione storica o archeologica che la possa avvallare e nulla di certo si può riferire del santo che non vada oltre la semplice tradizione agiografica più o meno leggendaria.
Stando alla locale credenza, Tegolo sarebbe stato decapitato lungo la strada che conduce a Montaldo, in un luogo in cui venne poi edificata una cappella dedicata a Santa Croce che nella seconda metà del XIV secolo pagava, in onore del santo, una tassa per benefici alla chiesa cattedrale.
Da un punto di vista storico, si potrebbe ritenere che all’epoca di Varmondo venne rinvenuta una delle tante sepolture, forse di un soldato, disseminate nella campagna della zona, che per motivi a noi ignoti fu ritenuta appartenere ad un martire locale, fatto poi oggetto di venerazione. Il nome stesso di Tegolo o Tegulo richiama curiosamente il più comune materiale di costruzione delle tombe di epoca romana, e potrebbe essere stato attribuito all’individuo inumato di cui non si conosceva ovviamente l’identità.
Le reliquie di San Tegolo, dopo essere state trasferite dalla loro originaria collocazione, riposano, insieme a quelle di San Besso, nella cappella del Santissimo Sacramento, mentre nella navata destra della chiesa vi è una cappella lui dedicata; la pala dell’altare rappresenta il santo nel tipico abbigliamento da milite romano, con la palma simbolo del martirio.
(Autore: Damiano Pomi - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Tegulo, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (25 ottobre)

*San
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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